Vincenzo nasce a Huesca, nella penisola iberica, da una famiglia consolare. Per gli studi fu affidato alle cure del vescovo di Saragozza, Valerio. Divenuto arcidiacono, svolse con competenza i due servizi che caratterizzano il ministero diaconale: l’amministrazione dei beni della comunità e la predicazione del Vangelo. Durante la persecuzione di Diocleziano, Vincenzo venne arrestato e portato a Valenza insieme al vescovo Valerio, dove fu torturato e rinchiuso in prigione.
Posto agli arresti domiciliari perché ritrattasse la sua fede in Cristo, non si piegò, e fu decapitato il 22 gennaio 304. In questo giorno si celebra la sua festa liturgica. La fama del suo martirio, come scrisse sant’Agostino, si diffuse subito “fin dove si estende l’impero romano o il nome cristiano”. Su Vincenzo martire scrissero anche Paolino da Nola, Prudenzio e Venanzio Fortunato. Del suo martirio abbiamo una redazione del III secolo, raccolta nel Pasionario hispanico.
Istruito nelle scienze e nella pietà. Incrudeliva allora la persecuzione contro i cristiani, mossa dagli imperatori Diocleziano e Massimiano nell’anno 303. Tra i persecutori si distinse Daciano, governatore della Spagna, il quale ordinò che tutti i cristiani fossero arrestati e rinchiusi in prigioni. Fra questi vi furono Vincenzo e Valerio. Tradotti davanti al giudice, Vincenzo, cui Valerio aveva ceduto la parola, disse: «Noi siamo cristiani, disposti a soffrire qualunque pena per il culto del vero Dio». Fu a seguito di queste parole che Daciano si contentò di mandare Valerio in esilio, rivolgendo tutto il suo furore contro il giovane Vincenzo.
Fu condannato allo stiramento delle membra e ai flagelli. Il giudice, vedendo che Vincenzo era desideroso di soffrire maggiormente, lo condannò al supplizio del fuoco, ma lui, intrepido in mezzo a quei nuovi tormenti, diceva ai carnefici: «Tagliate e mangiate, da questo lato sono già cotto». Il governatore, disperato di non poter vincere, lo rimandò in carcere, con l’ordine di farlo distendere sopra appuntite schegge di vasi rotti e di mettergli i piedi tra i ceppi. Si narra che il suo carceriere, vedendo gli angeli che venivano a confortarlo, si convertì alla fede.
La notizia di questa conversione ferì ulteriormente Daciano, che però permise ai fedeli di andare a visitare il Santo. Questi baciavano le cicatrici delle sue piaghe e raccoglievano il sangue con panni che poi tenevano come preziose reliquie. Alla morte di Vincenzo, Daciano ordinò che il suo cadavere fosse gettato in un campo, come cibo alle bestie; ma dal cielo scese un corvo a difenderlo dagli uccelli rapaci. Neppure davanti a questo prodigio Daciano si arrese, e fece gettare il cadavere in alto mare, cucito in un sacco, attaccandolo a una macina affinché andasse a fondo. Il corpo però galleggiò sopra le acque finché le onde non lo sospinsero sul lido, dove i cristiani lo raccolsero e lo riposero nel sepolcro, sopra al quale fu poi eretta una grande chiesa in suo onore.